Non voglio raccontare storie. Voglio aprire corpi, scorticare il visibile e trovare cosa c’è sotto, prima della trama, prima della parola, prima del pensiero. Il mio cinema nasce dal disagio, non come tema, ma come postura. Non è costruito per piacere, ma per interrogare.
Non voglio raccontare storie. Voglio aprire corpi, scorticare il visibile e trovare cosa c’è sotto, prima della trama, prima della parola, prima del pensiero. Il mio cinema nasce dal disagio, non come tema, ma come postura. Non è costruito per piacere, ma per interrogare. Non accarezza lo spettatore: lo costringe a stare, a sentire, a riconoscersi dove non vuole. L’immagine per me non è illustrazione, ma materia psichica, instabile, disturbata. È la forma che prende un grido quando nessuno lo ascolta. L’estetica non è un esercizio di stile: è tensione, attrito, crollo.
Il mio sguardo è concettuale, sì, ma solo perché la realtà, da sola, non mi basta.
Non credo nel cinema come contenitore, ma come dispositivo di esposizione: non mostra cose, ma mostra te a te stesso.
E spesso, quello che vedi, non ti piacerà.
L’onirico entra solo quando serve a destabilizzare il reale: non per evadere, ma per rivelare.
Non per inventare, ma per disinnescare ciò che si spaccia per verità.
Chi guarda non è mai passivo.
Chi guarda entra.
O fugge.
Non cerco spettatori. Cerco corpi esposti. Così come lo sono io, ogni volta che giro.