I miei film non cercano di piacere.
Cercano di toccare, graffiare, restare.
Uso il video come un rito. Non per raccontare una storia, ma per evocare presenze, sogni distorti, memorie in bilico.
Lavoro con corpi e tensioni, con l’ombra che insiste anche quando sembra tutto finito.
Il mio linguaggio è crudo, viscerale, essenziale.
Cerco di dare forma a quello che non si dice, quello che resta sotto pelle, o nello sguardo, anche dopo il buio.
Il mio showreel è un battito irregolare: non mostra, espone.
Se qualcosa si muove dentro di te, anche solo per un attimo, allora ha funzionato.